Renzi? «Il solista deve dare retta al coro»

Posted on 19 settembre 2011

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«Si stava meglio noialtri, quando ancora eravamo di sinistra». È un cameriere coi baffi che trova il coraggio di urlare indignato al segretario del PD Bersani il proprio risentimento per l’opposizione – a suo dire – fin troppo “vellutata” al governo di centrodestra. C’è il tempo di un abbraccio forte e sorridente a Roberto Vecchioni che terrà un concerto in contemporanea con l’intervento di Bersani, poi via di corsa.

Alla festa democratica milanese si procede alla processione rituale trai quattro e più ristoranti dell’area mercatale del PalaSharp. Tour d’ordinanza, per il leader, tra i gazebo bianchi, impauriti ed annaffiati da una pioggia torrenziale. C’e Maurizio Martina, quasi sotto lo stesso ombrello di Bersani. E, a pochi passi dal convoglio presidenziale – opportunamente defilato – c’è pure Giorgio Oldrini, il canuto sindaco di Sesto San Giovanni. In tanti storcono il naso e lo sorpassano in curva, nel rally delle pozzanghere democratiche. Qualcuno si dissocia dagli scontenti ed urla al microfono “siam tutti Sestesi”. I giovani son pochi e festeggiano con le bionde alla spina (lo stand dei demoyoung è chiuso dal lato ufficiale, ma aperto da quello conviviale). On air passano Daniele Silvestri che inneggia: “Il mio nemico non ha divisa, ama le armi ma non le usa, nella fondina tiene la carta VISA e quando uccide non chiede scusa”. Poi ad una ragazzina riccia scappa una domanda fin troppo sincera: «Chi è ‘sto qui?». E via risate di gusto trai suoi compagni del liceo Parini che la rimbrottano di gusto. Spunta poi dal nulla l’assessore comunale Pierfrancesco Maran, vittima di un linciaggio manettaro nelle ultime ore per via dell’affaire Penati e difeso in consiglio addirittura dal primo cittadino lo scorso lunedì. Sbuca Maran in polo celestina e Bersani lo abbraccia forte, lo schiaffeggia con fare paterno e gli sussurra: «Ma vedi che ti fai le spalle larghe, vai dritto: sai quante cazzate che tiran fuori ‘sti matti». Sorride commosso e si defila in fretta.

Nello spazio libreria accanto all’”Osteria del Gnocco Fritto” si parla di «visione prometeica della società» ma si smette in fretta per far largo all’intervista del leader. Nel dopolavoro delle donne democrats c’è – come ogni sera dal primo settembre – il pianobar, tutto un “Donne du du du, in cerca di guai”. «Non dico una lira, ma mai neanche una pacca sulla spalla. Eppure il Berlusca dice di aver sempre aiutato le famiglie in difficoltà», a scuotere (e quasi commuovere) il segretario PD è il padre di un ragazzo disabile che esorta Bersani a «dare una scossa a ‘sto Paese: mi raccomando». Se poi vedeste il grembiule di questa vecchia che serve ai tavoli del ristorante “Valtellina”, rosso con corredo di fieri falce e martello, pensereste ad una nostalgia che affligge intere generazioni. E coinvolge pure il segretario: «Buttarsi nell’avventura era molto più facile quando ero piccolo io. Te lo diceva anche la musica che stava per cambiare tutto. Ecco, ci dobbiam rimettere l’avventura ed il disinteresse in quella cosa che chiamiamo politica». Lo intervista un Giuliano Giubilei piuttosto spigliato, sebbene lo speaker sbagli ripetutamente il suo nome di battesimo. Una volta è “Guglielmo”, e le prime file se la ridono fragorosamente. Bersani incalza: «In questa nostra proposta non scordiamo di ficcarci, per una volta, anima e buon governo, anche per combattere questo presidente attaccato alla poltrona come cozza allo scoglio».

Con certe uscite che paion sincere convince anche gli scettici, assiepati dietro le casse dello Spazio Coop che pochi istanti prima si erano lasciati andare ad un «si voterà col naso turato anche stavolta, se questi non si rimettono in carreggiata». Evoca più volte l’incontro di ieri a Vasto, nel corso della festa dell’IDV tra lui, Vendola e – appunto – Di Pietro: «Sono anni che il nostro partito non s’azzarda ad attaccare i colleghi dell’opposizione, siam gli unici ad essere leali. Gli altri no. Lì ho proposto il cantiere del Nuovo Ulivo, lo possiam fare assieme a socialisti ed ambientalisti, aggregazioni piccole, per evitare lo sfascio che ci ha regalato l’esperienza de l’Unione. Facciamo dieci paginette di programma e discutiamo di quello. Proviamo a raccogliere tutto il civismo che ha trionfato alle ultime competizioni elettorali, quello delle donne e dei giovani e dei cittadini comuni». Cita “La domenica delle salme” di De Andrè, testualmente: «Voi avete voci potenti, lingue allenate a battere il tamburo, voi avevate voci potenti e adatte per il vaffanculo (si bippa, ma lascia intendere, e prosegue di getto rivolto alla platea), perché avete allora taciuto?». Si scaglia contro il Cav e l’alleato leghista, «forze meramente populistiche, che fioriscono contemporaneamente in tutta Europa, tanto che – ho detto a Maroni – se va in Finlandia a chiedere solidarietà per il numero eccessivo di sbarchi, finisce etichettato come un piccolo terrone». Risate.

Piove, governo ladro. Milano è fatta così, se mescoli politica e meteorologia stai sicuro che qualcosa vien fuori. Dopo settimane di cloaca asfissiante, sabato sera è tempo d’un nubifragio inatteso. Addio estate, è la festa dell’umidità. Dal palco del party democratico milanese, tuona Pigi Bersani. E, a dire il vero, tuona un po’ ovunque nella città metropolitana: è spettacolo intermittente di fulmini e saette. Conta il clima, si sa. E tanto. Diluviava, ormai quasi un anno fa, quando il Pisapia delle primarie autunnali trionfava sullo sfidante piddino Boeri. E pioveva anche il pomeriggio dello spettacolo di chiusura della fortunata campagna elettorale del sindaco arancione. (Ovvio che, allora, la colpa fu tutta dei creativi che ardirono titolare i manifesti sinistri con uno slogan perentorio “Cambia il vento”. Avvenne il cambiamento, e portò con sé per settimane un acquazzone memorabile). Piovve assai allora. Ma spuntò di colpo un arcobaleno fotogenico a pochi minuti dallo show in piazza Duomo – sorta di miraggio collettivo dal significato forse divino ma eminentemente politico. Un endorsement dal cielo, si sarebbe detto. Son tutti fradici qui, per farla breve. C’e Alessia, diciassettenne e ballerina, che –zuppa- si sfoga col suo amico: «Cioè, ti giuro, mi piacerebbe essere bellissima, la più bella del mondo, ed andare da Silvio a fargli credere che ci starei. E quando siamo soli soli, gli farei un culo così».

Quanto a Berlusconi, «mi auguro che il buon Dio abbia buttato via lo stampo e che non ne vengano più fuori di capopopolo simili. Inutile derubricare il suo atteggiamento a barzelletta istituzionale, al contrario, si tratta di cosa serissima, che fa perdere credibilità all’intero Paese». Raccoglie l’ovazione quando scatta il mea culpa: «per via dei nostri difetti abbiamo aperto la strada all’avvento del Cavaliere, per via dei nostri difetti», ribadisce. Oggi occorrono nuove geometrie di coalizione, insomma, a sentire Bersani: «dobbiamo stare larghi!». A proposito di alleanze, scattano i fischi del pubblico (età media cinquant’anni o poco meno) all’indirizzo del leader UDC, «Casini vale quello che vale», urlano da destra. «Una sega» controbattono cauti a sinistra. Intanto, dal palco, metafore come se piovesse (ed infatti…): «Basta mettere le dita negli occhi dei colleghi della minoranza, questo stile lasciamolo a Di Pietro – prosegue il segretario – la gente chiede ricette serie e non risse». Dunque, per questo periodo di fine legislatura, si dice disposto finanche ad un’«opposizione dialogante, purché si esca dalla melma». Bordate per l’omologo Alfano: «Un giorno gli ho chiesto se vuol fare il segretario del partito o il segretario del capo: si è incazzato con me. Invece non noto manco un refolo di ribellione, nei corridoi tutti congiurano eppoi – quando si tratta di schiacciare il pulsante – tutti convertiti all’obbedienza, a suon di 50 fiducie in 40 mesi».

Anche con i giornali se la prende Bersani, che «dedicano sei paginoni alle veline ed alle intercettazioni. Mettetevi nei panni di un operaio della Irisbus di Avellino. Lui, quelle pagine, le salta perché vuol capire se – ora che gli han chiuso la fabbrica – qualcuno sia disposto a ricomprarla. Ed il giornale mica gliela racconta, ‘sta roba qui». È deciso: «Non siamo noi un’autorità morale, ma siam custodi della Carta Costituzionale la quale parla di onore e responsabilità a proposito dei titolari di incarichi pubblici». (Ripeterà lo stesso concetto dopo manco una mezz’ora, incassando un tiepido applauso di risulta). Di crisi si parla poco, attingendo ad un serbatoio sicuro di luoghi comuni: «facciam pagare pure alla finanza sfrenata, introduciamo una tassa sulle transazioni finanziarie. Qui mettono in tasca le mani a chi paga sempre, il cittadino meno di tre volte al giorno non è che possa mangiare: è il più colpito dalla crisi. ‘Sti qui ci offrono dei provvedimenti che son ciofeche – s’infervora – Tremonti la smettesse di filosofeggiare e facesse il suo mestiere». Questione morale? «Da questa vicenda, che per noi è dolorosa dobbiamo trarre un insegnamento. Il nostro elettorato su questi temi è sensibilissimo e dobbiamo quindi allestire un partito e fare di più, sebbene sui temi di garanzia e onestà abbiamo regole più ferree di altri». Per Penati «c’è la presunzione di innocenza e il rispetto vero della magistratura. Se tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge: chi ricopre una carica pubblica lo è più di altri».

A sera, quando il ministro dei temporali parrà essersi dato pace, Bersani si riappropria di una panca all’interno del ristorante e si scontra col cameriere che gli cita Guccini: «Ma dobbiamo fare presto perché, più che il tempo passa, il nemico si fa d’ombra e s’ingarbuglia la matassa». Non riconosce la paternità dei versi e si batte sulla fronte per autoflagellarsi. Renzi? Ecco lo schiaffo: «Il solista emerge solo se da retta al coro». Non risponde alle domande ed etichetta come «maleducato» un giornalista di Piazza Pulita, il nuovo talk di Corrado Formigli su LA7: al giovinotto non pare vero di essere ostaggio di due nerboruti bodyguard del segretario e comincia a strillare le sue scomode domande su tangenti democratiche e caso Falck. Verrà scaraventato lontano dall’assembramento ma non si darà vinto. In fondo, essere qui -per un cronista- vuol dire essenzialmente una cosa: provare a respirare la stessa aria dei militanti. Tentare di catturare gli umori, se possibile. Tra pochi accoliti, il segretario ribadirà: «Bello dirigere, non comandare – tanto l’entusiasmo dei commensali – ho sempre fatto il soldato semplice di fanteria, io». L’impressione è dunque questa: nessuno è contento dello stile troppo spesso titubante del partito. Il rischio, come dice Bersani, è però quello di «concentrarsi troppo sulla foresta e perder di vista i singoli alberi». Ma la speranza è davvero tanta, si percepisce. Dopo aver espugnato la città di Letizia, tutto o quasi sembra alla portata.

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